VINCENZO LUNARDI E LA MACCHINA AEROSTATICA
Come
tutte le imprese impossibili documentate dalle fonti, anche quella del volo
possiede le sue intriganti leggende. In ogni tempo l’uomo ha tentato di
librarsi nell’aria, sognando viaggi fantastici attraverso l’etere, svolazzando
come un uccello, nella leggerezza del vento, cullato dalle nuvole, in piena
libertà. Attività senz’altro affascinanti, ma che spesso, oltre all’ausilio di
studi e ricerche, si sono avvalse di non pochi esperimenti pratici, non sempre
finiti in azioni positive e vantaggiose. Talvolta, nella follia e nell’ostinata
brama di voler volare, si sono consumate tragedie assurde, incomprensibili.
Tuttavia, nel corso del tempo, i mezzi per il raggiungimento di tale scopo, si
sono avvicendati fino ad approdare a quello che forse potrebbe apparire il più
sicuro e meno rischioso: il volo sul pallone aerostatico. Le belle avventure,
le ricerche, i progetti, le preparazioni, che hanno fatto la storia delle
moderne tecnologie, purtroppo non sono molto conosciute, benché rechino il
merito d’aver fornito contribuiti indispensabili ai moderni mezzi di
sospensione da terra, soprattutto in materia di dirigibili ed aerostati a gas
leggero, come l’elio, elemento chimico
leggerissimo e costoso.
La
storia ci fa un elenco approssimativo dei tanti esperimenti che hanno
arrovellato non pochi scienziati nel corso dei secoli. Il primo documento
accreditato in tal senso risale al XV secolo, riferito allo studioso Giovanni Fontana, grazie al quale ci giunge la prima
scrupolosa descrizione di un pallone ad aria calda, progettato da un inventore
ignoto, che però non fa accenno ad una vera e propria realizzazione pratica
dell’opera.
Sarà grazie all’ingegno davinciano, che
si consoliderà la prerogativa di far levitare un elemento leggero, attenendosi
al concetto di ascensione dell’aria calda,
principio già teorizzato
dal matematico e fisico greco Archimede nel 200 a . C., secondo cui un
corpo immerso in un fluido (in questo caso l'aria) riceve una spinta dal basso
verso l’alto di intensità pari al peso del fluido spostato, caratterizzando il
potere dell’elevazione di un oggetto leggero gonfio di vapore. L’irrequieto
genio fiorentino nel sedicesimo secolo compiva i suoi bizzarri ed artificiosi
esperimenti sull’equilibrio degli aeriformi, e un episodio riferito sia da
Benvenuto Cellini nella sua “Vita”, che dal Vasari nelle “Vite de’ più
eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi
nostri”, narra come egli facesse volare le vesciche d’animali soffiandoci
all’interno. Nel dicembre del 1513 Leonardo si trovava a Roma, al servizio del
duca Giuliano de’ Medici, e proprio nella città pontificia egli scoprì il
potere dell’aria calda: “ … mentre ch’e’
camminava faceva animali sottilissimi pieni di vento, ne i quali soffiando, gli
faceva volare per l’aria; ma cessando il vento, cadevano in terra. (…) Usava
spesso far minutamente digrassare e purgare le budella d’un castrato, e
talmente venir sottili, che si sarebbono tenuto nel palmo di mano. Et aveva
messo in un’altra stanza un paio di mantici da fabbro, a i quali metteva un
capo delle dette budella e, gonfiandole, ne riempiva la stanza, la quale era
grandissima, dove bisognava che si recasse in un canto chi v’era, mostrando
quelle trasparenti e piene di vento, da ‘l tenere poco luogo in
principio, esser venute a occuparne molto, eguagliandole alla virtù.”
Nel 1670, si fece strada la teoria del
gesuita bresciano Francesco Lana, conte de’ Terzi, che fu tra i primi a
considerare la possibilità di operare attacchi di guerra dall’alto. Difatti,
nella sua opera “Prodromo ovvero saggio di alcune invenzioni nuove promesso
all’Arte Maestra”, egli illustrò i disegni e i proponimenti riferiti ad una
macchina volante sostenuta da quattro sfere di cuoio, o rame, piene d’aria
calda. Gli evidenti limiti denunciati dal progetto, le scarse tecnologie
dell’epoca, non resero possibile l’attuazione dell’opera che, pertanto, rimase
un semplice studio, quantunque il Lana sia ancora oggi riconosciuto come il vero precursore teorico dei
principi dell’aerostatica. Non a caso,
nel 1794, durante la
Rivoluzione francese, una mongolfiera venne usata per
lanciare bossoli d’artiglieria sull’esercito austriaco. Litografie dell’epoca
ci tramandano, peraltro, l’immagine di
un pallone destinato al trasporto di soldati francesi con l’intento di invadere
la Gran Bretagna.
Ma questi non rappresentano episodi isolati, nell’uso della mongolfiera per
scopi bellici, altri esempi ci sono dati dalle esperienze inerenti la guerra
civile americana del 1862-63, e la guerra franco-prussiana del 1870-71.
Gli esperimenti si susseguirono con
costanza e fervore per molti anni, soprattutto in seguito ai numerosi risultati
favorevoli che rapirono benevolmente l’opinione pubblica ed il mondo
scientifico.
Il 15 novembre del 1783, il conte Marsilio Landriani,
un fisico sperimentale lombardo, tentò con successo l’elevazione di due
palloni, tra gli sguardi curiosi dei visitatori della Villa Reale di Monza.
Più tardi, in presenza del nutrito pubblico londinese, il conte
Francesco Zambeccari, proveniente da Bologna, innalzò un aerostato a idrogeno
di piccole dimensioni. L’esposizione
dell’evento e la descrizione della macchina aerostatica, strutturata a doppia
camera ed alimentata con aria calda e gas, in una lettera indirizzata al padre,
scioglierà ogni dubbio circa la paternità del progetto che, invece fu
attribuito al fisico Jean-François Pilatre de Rozier. Difatti, quest’ultimo,
morendo nell’atto di attraversare il canale della Manica con un mezzo di
fattura simile a quello dello Zambeccari, fornì le condizioni per denominare
quell’aerostato col suo nome.
Le sperimentazioni proseguirono senza sosta, servendosi spesso
delle tipologie e dei materiali più svariati.
Il 21 novembre del 1783, in presenza del re
Luigi XVI e della regina Maria Antonietta, Pilatre de Rozier e il marchese
d’Arlandes, tentarono il primo volo umano della storia a bordo dell’aerostato
ideato dai fratelli Joseph-Michel e Jacques-Etienne Montgolfier, i due
facoltosi fabbricanti di carta di Annonay. Il pallone, costituito interamente in lino rivestito da strati di carta
leggera, partì dal giardino delle Tuileries di Parigi e raggiunse la quota di 1800 m senza troppe
difficoltà. La spettacolare ascensione, che diede il via ad un
incessante e quasi ossessivo refrain di ricerche sul fenomeno, diffuso ormai in
tutta Europa, era stata ben congeniata dai fisici francesi, i quali si
servirono di un enorme braciere sottoposto alla gabbia dell’aerostato, allo
scopo di assicurare una costante produzione di aria calda e leggera, utile al
sollevamento d’un pallone di trenta metri di circonferenza.
Tuttavia bisogna dire che tra i primi
veri aeronauti della storia figurano un montone, un’anatra e un gallo, che,
durante le prove di sospensione dal suolo,
erano stati sottoposti alla brillante indagine di volo.
Intanto in Italia, spinto dalle
eccitanti novità scientifiche d’Oltralpe in materia aerodinamica, il lucchese
Vincenzo Lunardi (Lucca
1759-Lisbona 1799), divenuto pioniere
dell'aeronautica italiana all’estero, da sempre amante del volo, si
prefiggeva la realizzazione di una mongolfiera gonfiata all’idrogeno. Egli era
stato un geniale ufficiale dell’esercito napoletano, divenendo poi segretario
di Venanzio d’Aquino, principe di Caramanico, viceré di Sicilia ed ambasciatore
a Londra del re di Napoli Ferdinando di Borbone. Fu proprio lo spirito franco e
spregiudicato, aperto alle innovazioni, del d’Aquino, che già nella città
partenopea aveva potenziato le attività dell’Orto Botanico e dell’Istituto di
Astronomia, ad esortare, promuovendone le imprese, Vincenzo Lunardi nelle sue
ricerche ed in quelle indagini aerodinamiche che non gli recarono la giustizia
che avrebbe di certo meritato.
L’impeto
combattivo e la passione smisurata verso la scienza del volo, portarono
l’ufficiale napoletano a Londra dove, il 15 settembre del 1784, attuò una spettacolare rappresentazione
pratica delle sperimentazioni effettuate fino ad allora. Alla presenza della corte
inglese e di una moltitudine di persone eccitate e curiose, Lunardi si esibì in
una straordinaria ascensione, sospeso ad un pallone di circa dieci metri di
diametro e munito di due pali laterali grazie alle quali egli pensava di poter
regolare l’effetto di ascesa e discesa ma che, purtroppo, in quell’occasione a
poco servirono. Rimase in volo nel cielo londinese, fino a Hertfordshire, per
due ore e dieci minuti, decretando il buon esito dell’operazione.
Seguirono
due insuccessi a Napoli e a Lucca, quando l’otto luglio del 1788, Lunardi ritentò
a Roma una nuova elevazione del pallone alimentato all’idrogeno, presso il
Teatro Corea, nel Mausoleo di Augusto. Anche qui però, l’evento, che non si
rivelò del tutto improduttivo, incontrò non pochi problemi. Difatti, dato che
l’aerostato non riusciva a gonfiarsi a sufficienza, stentando a decollare,
Lunardi decise di effettuare una modifica improvvisata al momento, tentando la
sostituzione di alcuni elementi della navicella, allo scopo di alleggerirla.
L’operazione seguì un epilogo inatteso, poiché, assalito da un colpo di vento,
l’aerostato s’elevò repentinamente, trascinando con sé un involontario pilota,
l’ingegnere Carlo Lucangeli, salito a bordo al posto di Lunardi. Il pallone,
dopo un imprecisato tempo di volo, tornò a terra a circa ventisei chilometri di
distanza, presso la porta di San Pancrazio, dove il Lucangeli fu ben lieto di ritornare alle sue quotidiane
attività, assolutamente incolume.
L’esperienza napoletana del 1791, da molti criticata, non fu il disastro
riportato da improvvisati critici.
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