CRYPTA NEAPOLITANA dalla chiesa di santa maria a piedigrotta a san vitale a fuorigrotta

Servizio di Anita Curci


Come per buona parte delle numerose grotte di Napoli, il ricordo dell’antica Galleria di Posillipo o Cripta Neapolitana, si è perduto nel tempo, impastandosi in memorie ormai estinte, e giungendo fino a noi per riferirsi ad un qualcosa di più leggendario che reale.


Per la verità questa meravigliosa struttura architettonica, scavata dentro il tufo del monte di Posillipo, esiste sul serio, anche se abbandonata a se stessa e occultata dalla moderna urbanizzazione.

La grotta si apre nei pressi della chiesa di Santa Maria a Piedigrotta e termina nelle vicinanze della chiesa di San Vitale a Fuorigrotta.

La leggenda la vuole attribuita all’arte misteriosa di Virgilio Publio Marone, creduto mago, il quale si era trasferito a Napoli intorno al 30 a. C., scegliendo Posillipo come eremo adatto al conseguimento dei suoi studi. Il poeta mantovano, secondo l’antica fantasia popolare, avrebbe traforato la montagna in una sola notte, orientando il percorso da est verso ovest, partendo da Piedigrotta fino a Fuorigrotta (Foris Cripta), allo scopo di catturare i raggi del Dio Sole. In realtà, secondo le fonti tramandate dal geografo e storico greco Strabone, essa fu realizzata da L. Cocceio Aucto nel 37 a. C., nell’ambito di un ampio programma di lavori pubblici avviati a Napoli tra il 40 e il 30 a. C. e voluti da Ottaviano Augusto per migliorare le comunicazioni tra i due punti focali della città, quando la zona flegrea andava assumendo grande forza strategica. Ancora oggi restano visibili taluni tratti dell’antica Via Puteolis verso Neapolim, tracciato riportato nella famosa “Tabula Peutingeriana” (la storica carta, di probabile origine medievale, rappresentante il mondo conosciuto in età antica, che vuole segnalare le grandi strade dell’impero romano).

Ma anche in questo caso la fantasia popolare ha lavorato non poco, tramandando l’ipotesi immaginaria di un Cocceio a capo di centomila uomini per poter eseguire lo straordinario traforo in soli quindici giorni!

Non è certo, invece, quanto tempo durarono i lavori; sta di fatto, però, che la galleria si presentò presto un’importantissima opera di comunicazione tra Napoli e Pozzuoli, essendo il percorso alternativo lunghissimo e tortuoso. Infatti, a differenza della via “per cryptam”, quella “per colles” partiva dalla Salita Tarsia e proseguiva per via Conte della Cerra, S. Gennaro ad Antigniano, Annella Di Massimo, Belvedere, Corso Europa, Canzanella, Loggetta, e, per via Terracina, giungeva nell’area di origine vulcanica detta Puteoli.

Nel 1759 l’abate de Saint-Non commentava: “Poco lontano da Napoli, uscendo dal quartiere Chiaja, si incontra la famosa grotta di Posillipo che non è altro che una lunga, immensa caverna scavata dai Romani nella roccia, della lunghezza di quasi un miglio; riceve luce soltanto dalle due estremità, tanto che bisogna accendere le fiaccole per percorrerla anche in pieno giorno. Questo è il cammino che si deve fare per andare a Pozzuoli da Napoli”, nelle sue annotazioni di viaggio, testo poi denominato Viaggio Pittoresco e duramente criticato da Giuseppe Maria Galanti a causa delle tante omissioni e imprecisioni individuate dal saggista molisano.

Anche se riduceva il percorso di diversi chilometri, non sempre il gran traforo romano veniva attraversato con piacere; molte, infatti, sono le testimonianze che attestano i grandi disagi sopportati durante il viaggio.

Lucio Anneo Seneca (60a.C.–40d.C.), il grande pensatore e scrittore latino, nonché educatore di Nerone, in una epistola all’amico Lucilio, afferma:

Dovendo lasciare Baia per tornare a Napoli, (…)”, ho attraversato “la galleria di Napoli. Niente di più lungo di quel passaggio sotterraneo, niente di più fioco di quelle fiaccole, che servono non per vedere tra le tenebre, ma per vedere le tenebre stesse. Del resto, anche se il luogo fosse illuminato, l’oscurerebbe la polvere, cosa molesta e fastidiosa (…), turbina su se stessa e, mancando ogni spiraglio per l’uscita, ricade su quelli che l’hanno sollevata!”.


Per scavare nella montagna di Posillipo, i cavamonti di Cocceio si basarono su dei parametri di logica statica e di fisica, dettati dal grande architetto romano per ottenere stabilità strutturale. Essi, non a caso, seguirono la vena del tufo migliore, asportando soltanto la pietra morbida. Questa scelta creò scompensi estetici: infatti il tracciato della caverna, all’interno, era apparentemente bizzarro, quasi sconnesso. In realtà il sapiente disordine del traforo rappresentava la chiave fondamentale per garantirgli durata nel tempo. Davvero un lavoro di esemplare ingegno, che però non fu compreso dai progettisti delle epoche successive, i quali, per migliorarne la bellezza esteriore, guastarono un’opera di singolare arguzia ingegneristica.

Quando nel 1455 alcuni architetti, assoldati dal re Alfonso d’Aragona, ampliarono la Cripta e ripulirono le zone degli aeratori ostruiti dal tempo, diedero il via ad un lento e progressivo dissesto, proseguito dall’insipienza dei costruttori che operarono intorno al 1553 per volere del viceré don Pedro de Toledo, che tanto bene lavorò a Napoli, ma, purtroppo, non si rivelò attento in quell’occasione.

Egli ordinò di spianare, levigare e raddrizzare le pareti della galleria, creando drammatici scompensi alla sicurezza statica della struttura. Avendo compreso dopo il madornale errore, si tentò di riparare facendo costruire quarantotto coppie di pilastri con archi che, come si può immaginare, crollarono. Ma era troppo tardi ormai per porre rimedio.

Altro intervento fu realizzato all’esterno, dove venne abbassato l’ingresso con il piano stradale, portandolo a livello della via Piedigrotta, lasciando in alto, così, il sepolcro di Virgilio.

Abbassando di undici metri il suolo, difatti, l’ingresso della tomba del poeta mantovano non fu più accessibile dalla via Piedigrotta, ma attraverso una proprietà privata posta sulle rampe di S. Antonio a Posillipo.

Così scrisse il marchese de Sade nel 1776:

Proprio sopra all’ingresso della grotta che va da Napoli a Pozzuoli, nota sotto il nome di grotta di Posillipo, vi è uno dei monumenti più interessanti dell’antichità,(…). E’ la tomba di Virgilio. E’ situata in un giardino molto agreste e proprio in cima alla montagna, dove si apre la grotta che bisogna visitare con precauzione se non si vuole rischiare di cadere nello spaventoso precipizio attraverso l’apertura praticata su questa tomba e che è la stessa di un tempo; sembra che la montagna si prolungasse sino all’altra parte, poiché oggi questa porta che si apre perpendicolarmente sul precipizio non ha più comunicazioni. Si penetra nel sotterraneo attraverso un’apertura moderna”.

I lavori effettuati all’epoca di re Alfonso sono attestati da due lapidi poste all’ingresso del cunicolo, esse riportano il suo nome e la data di apposizione: “sub anno domini MCCCCLV Siste viator pauca legito, hic Vergilius tumulus est”. Che sta a significare “fermati viandante, leggi queste parole, codesto è il sepolcro di Virgilio”. Ad eseguire i lavori di ripristino fu tal Bruno Risparelle da Napoli, come riportato dall’epigrafe che traccia: “Opus domini Bruno Risparelle da Napoli”.

Altra lapide fu affissa ai tempi dei lavori di don Pedro; essa cita: “Qui cineres tumuli haec vestigia, conditur olim ille hoc qui cecinit pascua, rura, duces” (queste sono le vestigia di un sepolcro, vi è sepolto colui che un tempo cantò i pascoli, i campi, i condottieri).

Dopo più d’un secolo, altre modifiche furono apportate alla Cripta, onde rendere più comodo il viaggio verso Pozzuoli e le zone taumaturgiche dell’area Flegrea. Nel 1668 infatti, sotto il regno del giovanissimo Carlo II di Spagna, figlio del defunto Filippo IV, l’allora viceré di Napoli Pietro Antonio d’Aragona – che governerà la città dall’aprile del 1666 al febbraio del 1762 – diede il via ad una serie di interventi allo scopo di rendere il percorso della grotta meno accidentato. Anche in questo caso i lavori sono confermati da due epigrafi dislocate nelle zone del Foris Cripta e riportanti una serie di commenti circa le qualità terapeutiche delle terme.

Nonostante le tante scomodità del cunicolo - quasi certamente infestato di marioli e malviventi che approfittavano della condizione interna di buio per derubare ignari viaggiatori -, la Cripta Neapolitana, Grotta di Posillipo o Galleria di Pozzuoli, come dir si voglia, ha sempre operato una sorta di impenetrabile seduzione, pari a quella suscitata dalla tomba dell’illustre poeta latino.

Così Dumas, suggestionato dal luogo, impregnato d’antichità storica e d’aleggiante mistero poetico, ne parlò:

Al sepolcro del poeta si sale per un sentiero tutto coperto di rovi e di spine; è un rudere pittoresco sormontato da una verde quercia (…). Si perviene alla tomba da una scala semidistrutta, dai cui gradini spuntano grossi ciuffi di mirto …”.

In occasione di un viaggio a Napoli, allo scopo di seguire le tappe europee  più significative e prestigiose (“Le Gran Tour”), dove garantirsi una moderna e completa conoscenza del mondo artistico, storico e culturale, come molti letterati, storici o rampolli di famiglie facoltose, Johan Camper Goethe (padre del celebre scrittore tedesco) nel 1740 riportava una descrizione accurata della Cripta e dei paesaggi circostanti: “Questi monticelli per puro capriccio furono da Cocceio con stupendo lavoro forati, affinché si appianasse la strada fra Napoli e Pozzuoli, la quale via sotterranea è chiamata comunemente grotta o caverna di Pozzuoli … La suddetta via dunque sotterranea va direttamente 400 passi, larga abbastanza per due vetture che possono farsi comodamente luogo. Al di dietro è tanta oscura che non si può vedere l’un l’altro … Evvi ancor un altro incomodo, e che continuando la strada s’inghiottisce più polvere che aria e bisogna inviluppar bene la testa per bendare gli occhi, abbandonandosi in tal guisa alla grazia del cocchiere: sicché cosiffatta comodità porta seco più gran molestia, ed io certo amerei piuttosto praticar le colline che passar per l’accennata grotta, più convenevole alle notturne ombre di Plutone che ai viventi”.  

Di testimonianze ce ne sarebbero a bizzeffe e di certo non si possono segnalare tutte. Non ci va, tuttavia, di tacere sulla bella ottava del terzo canto dei Paralipomeni alla Batracomiomachia del 1831, eseguita durante il suo lungo soggiorno a Napoli da Giacomo Leopardi e dove canta: “O se a Napoli presso, ove la tomba pon di Virgilio un’amorosa fede vedeste il varco che dal tuon rimbomba spesso che dal Vesuvio intorno fiede. Colà dove all’entrar subito piomba notte in sul capo al passegger che vede quasi un punto lonta d’un lume incerto l’altra bocca onde poi riede all’aperto”.                                                            

I romani intervennero in maniera radicale a Napoli, realizzando spesso strutture di sicura utilità. Sulle rampe che conducono alla Tomba di Virgilio, nelle zone circostanti alla Cripta, ancora si può individuare il cunicolo dell’acquedotto del Serino che attraversava la collina e distribuiva acqua alla città. Il condotto risale quasi certamente agli anni di costruzione della galleria di Posillipo, essendo stato realizzato in epoca augustea, e faceva parte di un più ampio ed imponente reticolato di distribuzione idrica, lungo quasi 100 chilometri.

Ma ritornando alla Cripta: anche se dopo l’intervento di spianamento, sia da una parte che dall’altra, lasciava intravedere la luminosità del culmine della galleria – a questo proposito Wolfgang Goethe nel suo “Viaggio in Italia” annotò: “Siamo andati alla grotta di Posillipo, al momento in cui il sole del tramonto vi penetrava dall’altra estremità” –, il tenebroso percorso continuò ad annegare nel buio, nonostante la presenza di sessantaquattro lanterne sempre accese. Fu anche per questo motivo denominato “Corridoio infernale”; l’oscurità faceva scontrare cavalli e carrozze, provocando disordine e scompiglio. Ma Goethe ci lascia una testimonianza anche più esaltante della sua visita a Napoli. Così scriveva in quella stessa occasione. Era il 27 febbraio del 1787: “Oggi mi sono dato alla pazza gioia, dedicando tutto il tempo a queste incomparabili bellezze … la spiaggia, il golfo, le insenature del mare, il Vesuvio, la città, i castelli, le ville …! Questa sera ci siamo recati alla grotta di Posillipo nel momento in cui il sole tramontando, passa con i suoi raggi fino alla parte opposta. Ho perdonato a tutti quelli che perdono la testa per questa città …”

La straordinarietà del circondario, come leggiamo dalle fonti, era offerto anche dalle campagne variopinte e profumate, niente a che fare con il grigiore di questo inizio secolo e dei puzzi dei tubi di scappamento delle auto. La zona a quell’epoca era rallegrata dalla presenza di frutteti, soprattutto nella parte Foris Cripta, in cui si potevano ammirare piante rigogliose, vigneti, insenature stupende, rocce, rade e sterminati campi di vegetazione intervallati dai misteriosi ed intriganti resti delle civiltà del passato.

Ma, a parte questa breve parentesi, il problema sostanziale della Cripta stava nel percorso troppo lungo, e il fatto che non avesse altre aperture oltre ai due ingressi, portò a difficoltà e disagi enormi, anche se l’idea di accorciare la lunga strada “via colles” per Pozzuoli si dimostrò, nei secoli, per tutti allettante.

Quello che sorprende è la scoperta, durante i lavori effettuati al tempo di Alfonso d’Aragona all’interno della galleria, di un bassorilievo raffigurante il dio Mitra nell’atto di uccidere un toro, sotto lo sguardo del dio Sole. Ciò spiega come il luogo fosse divenuto anche una meta sacra, dove vi si recavano giovani spose a pregare per garantirsi una prole sana e prolifica, a chiedere soccorso o semplicemente in pellegrinaggio alla ricerca della divinità. In seguito diventò ritrovo per baccanali in onore di Priamo e Bacco (o Dionisio), feste chiassose e sfrenate in cui i moti liberatori, talvolta scabrosi, convinsero più avanti le autorità ad abolirne la tradizione.

La tavola di marmo, dello spessore di dodici centimetri e dalle dimensioni di circa un metro per un metro, risalirebbe alla fine del terzo secolo d. C., attribuito ad uno scultore ignoto, attualmente è esposto al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Di questa sorta di santuario pagano ce ne dà notizia Petronio (m.66 d.C. a Cuma), il raffinato scrittore latino che divenne, presso Nerone, l’arbiter elegantiarum delle abitudini di corte.

Egli fa degli accenni nel suo Satyricon, in cui si narrano le vicende di due amanti, Encolpio e Gitone, che muovono i passi in una città greca dell'Italia meridionale. Qui, tra prosa, poesia e novella, vengono illustrati scenari di notevole utilità storica.

Ce lo ricorda proprio il Galante quando scrive: “Da un frammento del Satirico di Petronio rilevasi che qui o qui dappresso fu un delubro pagano intitolato al nume Lampsaco, che Petronio colloca innanzi alla grotta, descrivendo i notturni riti “me derisisse, inquit, vos putabitis? Ego sum ancilla Quartillae, cuius vos sacrum ante cryptam turbastis”.

Per attenuare l’enfasi di queste scandalose liturgie e introdurre le nuove istanze cristiane, si cancellò ogni traccia del tempio pagano, sostituendolo con una cappella dedicata a Santa Maria dell’Idria, venerata forse fino al 1207, poiché da questo momento si hanno notizie di un altro tempio dedicato a Santa Maria a Piedigrotta, denominazione scaturita certamente dal fatto che esso si collocava ai piedi della Crypta. Il tempio con l’andare del tempo diventò una chiesa, la quale conservò il nome dell’antica cappella. Non resta gran traccia della vecchia architettura, purtroppo, essendo stata rimaneggiata secondo gli stili successivi. La storia di questa struttura è assai articolata ed incerta, pertanto la ricostruzione storica risulta alquanto difficile. Tuttavia la sua presenza certa è attestata dal Petrarca (1304-1374) nel suo Itinerarium Syriacum e in una lettera del Boccaccio scritta nel 1339, dove si fa cenno alla donna de Pederotto.


Si narra addirittura che in origine la facciata fosse rivolta verso la collina e ribaltata soltanto nel 1600. I lavori di riadattamento purtroppo compromisero gli affreschi della volta, dipinti da Belisario Corenzio agli inizi del ‘500 e raffiguranti storie della vita della Vergine. Degli affreschi presenti nell’antica cappella soltanto due si possono ancora ammirare, uno rappresenta il Cristo Pantocrate e l’altro, protetto in una nicchia, propone l’immagine della Madonna con il bambino in una nube di angeli.

La chiesa di Piedigrotta, attualmente posta all’inizio di Mergellina, ci può soltanto informare circa la collocazione sommaria dell’antico tempio cristiano. Dei riti praticati nella grotta romana, resterebbe la simbolica festa di Piedigrotta, anche questa abolita da diversi anni.

Per ciò che riguarda la Cripta Neapolitana – denominazione riscontrata sempre nello scritto di Petronio, quando afferma che bisogna attraversare la Crypta stando inclinati: “satis constaret eos, nisi inclinatos, non solere transire cryptam neapolitanam” - altri interventi rivolti ad operazioni di restauro, furono avviati prima sotto il regno di Carlo di Borbone, intorno al 1748, poi agli inizi dell’ottocento per volere di Giuseppe Bonaparte, il quale ordinò l’istallazione all’interno del traforo di una doppia fila di fanali, onde garantire una illuminazione più efficiente.

La Grotta di Posillipo, dal lontano 37 a. C., è servita al suo scopo fino al 1885, quando fu realizzata la galleria parallela ad uso dei tram (“grotta nuova” o “delle quattro giornate”), nelle vicinanze della stazione ferroviaria e metropolitana di Mergellina.

Da diversi anni si vaglia il progetto di riaprire la Cripta al pubblico per visite archeologiche, ma finora, in questo senso, non si sono segnalati sviluppi significativi.



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